Un pastello leggerissimo, risalente agli anni ’30-’40, firmato (come raramente) con anche il nome.
Una “Maternità” sognata, espressa con colore puro e senza ombre, sguardi persi nelle lontananze, abiti appena suggeriti.
Il “punto di vista” è all’altezza del bambino, ad esprimere la vicinanza emotiva dell’Artista, mentre mani e viso della Madre sono meglio messi a fuoco, ad indicare che la sua esperienza di Donna era entrata in una realtà chiara e definita.
Appena accennato l’abito, il velo, i capelli, soprattutto quelli del Bimbo – ma gli occhi, quelli sì, sono definiti nell’espressione: di malinconia, quasi di dolore quelli della Madre, come se tenesse un Bimbo desiderato ma non suo, messole in braccio per un compito ... gioiosi e più attenti al presente quelli del Bimbo, che sembra sorridere ad un futuro già iniziato ...
Il quadro stava nella stanza degli ospiti di Stresa, sopra il letto, come benevolenza verso chi accettava di dividere la loro quotidianità, ma senza la presunzione di voler essere un’immagine sacra: l’unica effigie della Madonna, infatti, era sopra al letto coniugale, una classica “Mater dolorosa” dell’800, di autore sconosciuto. Lungo tutta la sua carriera, l’Artista non ha mai osato dipingere una Madonna, sentendosene indegna – ma parecchie sue “Maternità” o ritratti femminili alludono al Sacro, al Mistero. Quasi tutte dipinte nel primo periodo, quando forse ancora sognava per Sé quel miracolo di vita che non è avvenuto, quasi tutte sparse per l’Italia, in abitazioni sconosciute.
Soltanto al termine della Sua vita, quando, ormai vedova, viveva il Paradiso come possibilità desiderata, cedette alle insistenze di chi le chiedeva un grande quadro per il costruendo Santuario di Garabandal (cfr. “Luoghi pubblici”, A006) e lo dipinse gratis, pregando ad ogni pennellata per la remissione di un simile atto di superbia.