Morning light
Entro, profana come sempre, nella fucina di Nuzzi, in quella stanza in cui, a colpi di pennello, Nuzzi riduce la forma all’essenza, spoglia i suoi soggetti del superfluo, evidenzia in ogni quadro l’anima.
Oggi sul cavalletto c’è un ritratto.
Una Donna, non a caso chiamata “Donna M.”, perché la forma di donna non si stacchi dall’essenza di M….., mai.
Mi siedo, e la guardo.
È lei, le assomiglia nell'anima, ne ripete integro il fascino, ne narra i contrasti.
I tratti del viso parlano di sofferenza, di fatica, di solitudine, di lunga abitudine a serrare i denti e continuare.
Gli occhi hanno il suo interesse, la sua vivacità sommessa, i suoi aneliti contenuti, come di chi ancora a sempre spera: in cosa non è chiaro, come sia possibile non so. Si vede solamente che la vita di quegli occhi è viva, forte, intera e pulita, come uno scoglio che il mare ha bersagliato a lungo ma che emerge sempre, ogni volta più lucido. Sono occhi che non si sono rassegnati, mai.
La bocca… la bocca ha una sua dolcezza, mitigata, profonda, come un atteggiamento di simpatia alla vita. Non è la bocca di chi è avvezzo a ridere perché ha incontrato la vita solo superficialmente e non l’ha capita. Non è la bocca di chi ha imparato a disprezzare tutto perché ogni cosa reca anche dolore. È la bocca di chi sa che ovunque c’è un po’ di bene, anche nel male, e a questa lucciola di bene sorride, disincantata e forte.
È un viso affascinante, chiaro a leggersi nella sua riservatezza, che ancora ignora se nei suoi giorni sarà più il bene o il male, ma che aspetta qualcosa di risolutivo per fare il bilancio, e nel frattempo arranca, non illusa, non sfiduciata, con quel giusto equilibrio atavico che Proust additava come distintivo dei nobili, ma che io mi rifiuto di credere sia dato in dono alla nascita: sarebbe troppo ingiusto per noi tutti, agitati dalla vita in continuo saliscendi e alla ricerca spasmodica di questo equilibrio che ci sottragga all’esaltazione o al suicidio.
Il collo, abitualmente coperto, si è abbandonato – e mi par di leggere nella pelle il ritegno – a un’insolita esibizione, e qui ritrovo la mano di Nuzzi, artista morbida, non severa, che cerca un equilibrio di forme e una verità di atteggiamenti.
“Sì, Donna M. Il tuo vero atteggiamento è femminile, e nella tua prima natura di Donna doveva esserci quel compiacimento di sé, quell’amore all’armonia del proprio corpo, quella innocente esibizione che ogni adolescente ha. La tua austerità, sinceramente, mi affascina più di quel collo scoperto, ma è perché mi nasconde il mistero di te: cosa ti ha fatto austera? Cosa ti ha indotto a nasconderci e a nasconderti la tua fragilità? Puoi rispondermi raccontando mille avvenimenti, ma mi par già di conoscerli, di averli incontrati nella mia vita. Dunque, al di là degli avvenimenti, come hai potuto risolverti a non abbandonarti più a nulla senza divenire diffidente di tutto?”
Il ritratto non risponde e per beffarsi di me mi mostra due mani abbandonate, fiduciose, compiaciute del morbido e chiaro pelo, e un braccio che parla in confidenza con un gioiello, e il gioiello par non esser stato mai in nessun altro luogo. E anche le perle sembrano saperla lunga sulla pelle che le vivifica.
Ma allora, quante donne ci sono in Donna M,?
Rileggo il ritratto da capo, e ora par rispondermi.
“Guarda i gioielli: c’è una donna che ha saputo amare i vezzi; ma guarda gli occhi: c’è una donna che non ha dato loro alcuna importanza.
Guarda il busto eretto, la posizione tutta: c’è una donna forte, rigida, che non transige; ma guarda le mani, il collo: c’è una donna indifesa, che accetta ancora di esser colpita dalla vita.
Guarda la mantella del più bel visone, l’acconciatura, le mani curate e la pelle giovane: c’è una donna esigente, che ama la perfezione e il bello, che non si ferma mai se c’è un meglio; ma guarda la bocca comprensiva, dolce, serena: c’è una donna che è contenta di ogni poco, che non ti sgriderà mai per le tue imperfezioni …”
Tronco il dialogo con quel ritratto: mi fa impazzire, mi rende inquieta, mi dà la nostalgia di un universo grande, mi gonfia con qualcosa che la mia anima non può contenere, mi fa venir voglia di spaccare tutte le apparenze per arrivare senza errori all’essenza di ognuno, in un mondo dove le anime possano girar nude, senza difese, senza maschere … anche la mia!
Spengo la luce.
La penombra di un mattino malato di pioggia toglie chiarezza ad ogni particolare, zittisce le voci, calma la mia ansietà, sfuma i contrasti, ricerca la familiarità della sera.
Dò un ultimo sguardo, di sottecchi, per rivedere il quadro senza che mi aggredisca con le sue domande e le sue realtà. Così – sprovveduta! – mi lascio aggredire dai sentimenti.
Quella donna m’ispira protezione, e vorrei potermi mettere di sentinella perché nulla e nessuno più la colpisca. E contemporaneamente vorrei farmi proteggere dalla sua forza, farmi indirizzare dal suo equilibrio, lasciare che mi guidi nelle strade degli anni di una donna …
Chiudo la porta.
Stasera sentirò che il mio giorno non è stato sprecato: ho parlato con un ritratto, ho incontrato un’anima. E non chiedetemi se quel ritratto è anatomicamente esatto o somigliante, non mi importa. Sarebbe come chiedermi se la musica di Beethoven ha una realtà oggettiva, quantificabile e qualificabile e individuabile …
A me parla, ha parlato, ha comunicato con la parte più vera di me. C’è una fotografia capace di fare altrettanto? Ci sono parole che spiegano più di così? C’è una presenza fisica che svela un’anima in così breve tempo?
Solo l’Arte può far questo.
E se qualcuno ha la curiosità di sapere come son fatte le mani di Donna M., sfogli l’album di famiglia, ma lasci stare l’Arte.